Sla, scoperti nuovi bersagli terapeutici. La ricerca non si ferma

Esistono condizioni mediche, come l’ictus, che possono condurre alla perdita di controllo del proprio corpo nel giro di un brevissimo lasso di tempo e malattie più subdole, con un decorso lento ma progressivo, come il morbo di Alzheimer o la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), nelle quali la perdita delle facoltà avviene in maniera graduale.

La SLA è una malattia neurodegenerativa che colpisce i motoneuroni, dalla corteccia motoria principale fino al midollo spinale e al tronco cerebrale, determinandone la morte cellulare, con compromissione di tutte le attività ad essi collegate: il paziente malato di SLA inizia a perdere la funzionalità degli arti, incorrendo in problemi di movimento ed arrivando ad atrofia e spasticità e, successivamente, manifesta difficoltà legate alla deglutizione, alla fonazione e alla respirazione.

Tuttavia, l’aspetto peggiore di questa malattia è che le funzioni sensoriali e quelle cognitive rimangono intatte. I malati di SLA rimangono letteralmente prigionieri del proprio corpo. Secondo la Fondazione Italiana di Ricerca per la Sclerosi Laterale Amiotrofica (AriSLA) l’incidenza delle malattia oggi si attesta intorno a 1/3 casi per 100.00 abitanti, mentre in Italia, i malati sono circa 5.000. Si tratta di una patologia che affligge le fasce adulte della popolazione (età media di insorgenza: 60 anni) e che vanta tra le sue vittime molte personalità di fama internazionale come l’astrofisico Stephen Hawking o sportivi come i calciatori Gianluca Signorini e Stefano Borgonovo, nonché il noto giocatore di baseball americano Lou Gehrig, dal quale deriva l’altro nome con cui è conosciuta (Morbo di Lou Gehrig).

Le cause della malattia rimangono ancora incerte e, nonostante le svariate ipotesi proposte sui motivi che portano alla degenerazione dei motoneuroni, c’è ancora molta incertezza sui meccanismi genetici e molecolari che scatenano la malattia: nella maggior parte dei casi la SLA insorge su base sporadica ma in circa il 5-10% dei casi la malattia risulta avere una base familiare. Questo rende essenziale il progresso della ricerca scientifica per contrastare la malattia. La SLA ha un’aspettativa media di vita di 3-5 anni ma, quel che la rende terribile, è che non esistono test diagnostici specifici e neppure una terapia farmacologica che possa arrestarne la progressione. Risulta, pertanto, essenziale indirizzare la ricerca verso la scoperta di nuovi marcatori sia per la diagnosi che per il monitoraggio della malattia.

Nel corso del 14th International Conference on Endothelin: Pathophysiology and Therapeutics, svoltosi a Savannah (GA) tra il 2 e il 5 settembre 2015 e promosso dall’American Physiological Society (APS), un gruppo di ricercatori della Johns Hopkins University ha presentato i risultati di un interessante studio che identifica nelle endoteline dei potenziali futuri bersagli terapeutici per la SLA.

Le endoteline sono prodotte a livello dei vasi sanguigni e rappresentano una classe di proteine con un potente effetto vasocostrittore che determina un aumento della pressione arteriosa: per tale ragione sono implicate in molti eventi di tipo cardiovascolare. In particolare, L’endotelina 1 (ET-1) è espressa anche nelle cellule endoteliali cerebrali, nei neuroni e negli astrociti. In conseguenza ai danni a livello cerebrale provocati da patologie come il morbo di Alzheimer, le ischemie o i gliomi, aumenta l’espressione di ET-1 e del suo recettore (RT-B) negli astrociti tanto che, in modelli di laboratorio, è stato possibile osservare come ET-1 promuova la proliferazione cellulare, diminuisca il tasso di assorbimento di glutammato aumentando quello di glucosio, e stimoli la sintesi di DNA. Inoltre, ET-1 potrebbe avere un ruolo non trascurabile nel mediare il processo di infiammazione a livello locale.

I ricercatori hanno scoperto che, nei pazienti con SLA, i livelli di ET-1 e di ET-B sono particolarmente elevati e da qui sono partiti per cercare di capire se risultino alterati anche nelle specifiche regioni in cui le cellule nervose iniziano a morire. Grazie al dosaggio di specifiche proteine ed alle analisi di espressione genica, essi hanno potuto confermare l’innalzamento dei livelli di ET-1 negli astrociti e di ET-B nelle cellule nervose. In aggiunta a ciò, hanno riscontrato l’evidenza di specifiche e rilevanti variazioni nella sequenza genica di ET-1 nei pazienti con SLA di tipo ereditario, confermando il valore di ET-1 quale possibile bersaglio di un’eventuale futura terapia contro la SLA.

Enrico Orzes
03 Dicembre 2015

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