F.A.Q. / Domande frequenti

[expand title=”Come si diagnostica la SLA?”]
Non esiste un unico test diagnostico specifico in grado di diagnosticare la SLA.
Il criterio fondamentale è l’esame clinico, affiancato da una serie di test strumentali, che possono variare a giudizio del medico sulla base delle caratteristiche del singolo paziente, volti essenzialmente all’esclusione di quadri clinici simili ma determinati da altre patologie.
Data la rarità e complessità della malattia, la diagnosi andrebbe posta da un neurologo con esperienza specifica sulle malattie del motoneurone; le Linee Guida consigliano inoltre la richiesta di un secondo parere neurologico indipendente per valutare la correttezza della diagnosi e la completezza dell’iter.
Fondamentali per la diagnosi sono quindi il colloquio e la visita medica (esame obiettivo),sulla base dei quali il neurologo orienterà la richiesta di una serie di valutazioni strumentali.
Gli esami ematici dovrebbero includere i dosaggi degli enzimi muscolari, ormoni tiroidei e partiroideo, e una serie di test per la ricerca di infezioni batteriche o virali che possono mimare la SLA. Altri parametri ematici valutabili nei singoli casi in base all’anamnesi, all’età e al quadro clinico e elettromiografico sono anticorpi “antinervo” (anti-gangliosidi) , markers neoplastici, dosaggi dei metalli pesanti su siero e urine nel caso di pazienti esposti.
L’esame elettromiografico ed elettroneurografico (studio dell’attività elettrica generata rispettivamente dalla contrazione muscolare e dal passaggio di impulsi motori e sensitivi attraverso i nervi) è importante sia per la conferma delle alterazioni patologiche riscontrate durante l’esame clinico e la dimostrazione di segni di malattia non evidenti all’esame obiettivo, sia per l’esclusione di patologie di nervi periferici che possono manifestarsi con segni e sintomi simili alla SLA.
Lo studio radiologico (risonanza magnetica o TC) del midollo spinale e dell’encefalo viene eseguito allo scopo di escludere altre patologie, per cui sede, estensione e tipo di esame vengono valutate in relazione al quadro clinico.
Altri esami, fra cui esame del liquor cefalorachidiano ( prelevato tramite una procedura detta rachicentesi o puntura lombare) e biopsia muscolare e/o di nervo, potranno essere richiesti in base a specifiche caratteristiche del paziente.
Data la complessità del processo diagnostico e delle implicazioni che una diagnosi di SLA comporta, è fondamentale un buon dialogo medico-paziente circa lo scopo e i risulti degli esami, ed è un diritto del paziente richiedere e ricevere spiegazioni in merito.

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[expand title=”La SLA è ereditaria?”]
Nella maggior parte dei casi la patologia è sporadica (non ereditaria). Solo una bassa percentuale di pazienti con SLA (dal 5 al 13% a seconda delle casistiche) presenta una chiara familiarità (riferisce di avere almeno un parente affetto dalla stessa patologia): in questo caso si parla di SLA familiare (FALS), anche se negli studi genetici il termine è più restrittivo (SLA diagnosticata in almeno 2 individui consanguinei di una stessa famiglia, separati da non più di 4 generazioni ). Nelle FALS l’anomalia genetica di gran lunga più comune ( dal 12 al 20% del totale a seconda delle popolazioni) consiste in una mutazione del gene codificante l’enzima SOD1: sono state identificate oltre 100 diverse mutazioni di questo gene, con modalità di trasmissione (di “ereditarietà della patologia”), penetranza (probabilità che il discendente che ha ereditato il gene sviluppi la malattia) ed espressività (quadro clinico e prognosi) variabili. Sono statati finora classificati altri geni (tra i meglio noti Alsyna, Senatassina e VAPB), la cui mutazione è tuttavia descritta molto raramente, mentre nella maggior parte delle famiglie il difetto genetico rimane tuttora ignoto. Mutazioni del gene SOD1 sono descritte anche nel 7% dei pazienti cosidetti “sporadici”, cioè che -come in circa il 90%dei casi-, non presentano alcuna storia familiare. Questi casi, ecludendo possibili dubbi su paternità incerta, non conoscenza di parenti affetti, casi di mutazioni a bassa penetranza (i consanguinei portatori del gene mutato non hanno sviluppato la SLA) potrebbero essere spiegati da mutazioni “de novo”, non ereditate con il materiale genetico dai genitori all’atto del concepimento ma avvenute in un secondo momento. Per quanto riguarda l’applicazione clinica di queste conoscenze, va sottolineato come, date le implicazioni etiche e psicologiche, la complessità delle variabili ed il grosso numero di interrogativi tuttora irrisolti, il test genetico (ricerca di una possibile mutazione causale nall’ammalato o “pre-sintomatica” nei familiari sani) è consigliabile solo a malati con chiara familarità, ed eventualmente – se lo desiderano – ai parenti adulti consanguinei di primo grado dell’ammalato. Il test nei familiari del malato è inoltre applicabile solo in caso che in quest’ultimo si sia dimostrata una mutazione del gene SOD, poiché solo di queste forme vi è attualmente un’adeguata comprensione. In caso di familiarità la consulenza genetica, dalla ricerca della mutazione responsabile all’illustrazione delle informazioni scientifiche note circa l’eventuale mutazione, può avvantaggiare il paziente e i familiari fornendo una conferma diagnostica, un orientamento circa la prognosi ed il rischio dei congiunti di ammalarsi, ed una possibile futura chance terapeutica, alla luce tecniche in studio per inattivare il gene SOD mutato. In ogni caso, data l’estrema variabilità di penetranza o prognosi, il test è in grado di fornire risposte solo parziali, che vanno interpretate e discusse con Clinici e Genetisti.

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[expand title=” Qual è la terapia corretta per un malato di SLA?”]
Non esiste allo stato attuale delle conoscenze scientifiche alcun trattamento, farmacologico o non, in grado di arrestare la progressione della malattia o di portare a miglioramento dei deficit motori.
L’unico farmaco dotato di efficacia dimostrata nel rallentare la progressione della SLA è il riluzolo, che viene prescritto e fornito (salvo controindicazioni) dalla neurologia presso la quale il paziente è seguito.
Esistono inoltre un serie di farmaci sintomatici che possono essere prescritti per alleviare disturbi comunemente associati: Crampi: chinina solfato, antipilettici quali carbamazepina e gabapentin.
Eccessiva salivazione (scialorrea): farmaci anticolinergici quali amitriptilina, scopolamina, tiersifenidile, atropina. Nei casi lievi un sollievo sintomatico può derivare da succhi di frutta acidi o spicchi di agrumi. La saliva e le secrezioni mucose in eccesso possono essere rimosse meccanicamente con l’uso di un aspiratore. Andrebbero invece evitatai mucolitici (acetilcisteina, carbocisteina) che aumentano il volume del muco, con maggior rischio di accumulo e sovrainfezione in particolare in caso di tosse non valida; ove indicato esistono inoltre specifici apparecchi di ausilio per la tosse (Cough Assistent, Insufflator).Nei casi di scialorrea particolarmente marcata e resistente ai trattamenti framacologici può essere indicato, in casi selezionati, un trattamento più aggressivo, quale inoculo di tossina botulinica nelle ghiandole salivari o irradiazione delle stesse.
Depressione: antidipressivi. Gli antidepressivi delle classi degli inibitori della ricaptazione della serotonina o triciclici possono anche essere utilizzati per il controllo dei cosiddetti riso e pianto spastico, crisi di riso e pianto non controllabili e non giustificati da situazioni esterne).
Spasticità: regolare fisioterapia (eventualmente idroterapia e massaggi); antispastici quali baclofen, tizanidina, dantrolene, tossina botulinica.
Stipsi: idratazione adeguata, fibre alimentari, emollienti fecali (eg lattulosio), eventualmente se indicato piridostigmina per aumentare l’azione di torchio addominale.
Insonnia: preferire farmaci a breve emivita e con minor rischio di inibizione sui centri del respiro, come lo zolpidem. Le benzodiazepine, in particolare se a emivita protratta (es diazepam) andrebbero evitate o assunte sotto controllo neurologico e previa valutazione della funzionalità respiratoria diurna e notturna.
N.B.: qualunque farmaco va assunto solo dietro prescrizione medica, da parte del Medico di Famiglia o di uno Specialista (es neurologo/fisiatra),che ben conosca la malattia, le caratteristiche del singolo paziente e le terapie concomitanti, chiarendo al momento della prescrizione indicazioni, controindicazioni ed eventuali effetti collaterali. La terapia va periodicamente riverificata nel corso dell’evoluzione della malattia.

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[expand title=”Una volta accertata la diagnosi, a che tipo di controlli dovrebbe sottoposi un malato di SLA? Con quale tempistica andrebbero ripetuti?”]
Negli ultimi anni numerosi lavori hanno attestato l’utilità di un approccio multidisciplinare, che oltre ai controlli neurologici includa regolari valutazioni pneumologiche, logopediche e dietologiche, al fine di identificare e trattare precocemente i problemi di ventilazione e nutrizione che possono complicare il decorso della malattia.
Le figure del fisiatra e fisioterapista (possibilmennte con impostazione occupazionale) hanno un ruolo fondamentale nella prescrizione di esercizi volti a preservare la motilità articolare e di strategie ed ausili volti a by-passare le difficoltà motorie e di comunicazione, per garantire nelle varie fasi di malattia il mantenimento di relazione, e se il paziente lo desidera lavorativa, piena e soddisfacente L’equipe multidisciplinare dovrebbe inoltre includere la figura dello Psicologo, che può fornire supporto il malato e la famiglia fin dal momento della diagnosi.
Un approccio multidisciplinare è in grado non solo di migliorare la qualità di vita, fornendo le indicazioni corrette per affrontare i diversi problemi legati al decorso, ma anche – come attestato da diverse pubblicazioni scientifiche – di migliorare concretamente la prognosi, aumentando la sopravvivenza.
Data la rarità e complessità delle malattie del motoneurone, tutti gli specialisti del team multidisciplinare dovrebbero avere una preparazione e un’esperienza specifica nel gestire i malati di SLA.
Equipe con questi requisiti sono in attività presso i principali Centri di Riferimento Regionali.
La valutazione multidisciplinare andrebbe ripetuta in media ogni 3-4 mesi, o più frequentementemente secondo le necessità del paziente e/o le indicazioni degli Specialisti dell’equipe.

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