In memoria di…

La nascita di A.S.L.A. ONLUS e la dedica alla memoria di Silvio Bastianello raccontata da Giulio Mola nel suo libro “L’ULTIMA PARTITA” (Frilli Editori)

Un’altra Onlus l’ha fondata la famiglia di Silvio Bastianello, già difensore del Padova negli anni ’70. Della sua morte, avvenuta nel giugno del 2002 a causa della SLA, si è saputo pubblicamente solo nel gennaio 2010 in occasione di un convegno a Milano. A raccontare la storia dell’ex calciatore cresciuto nel Padova ammalatosi a soli 43 anni è la signora Daniela Fasolo che con i figli Erika e Paolo ha vissuto in prima persona la tragedia. Donna coraggiosa e combattiva, da quando il marito non c’è più è stata lei a schierarsi in prima linea per aiutare gli altri, offrire assistenza e difendere i diritti dei malati, fondando nel 2006 l’associazione A.S.L.A., con sede a Veggiano.

“Eravamo una bella famiglia, poi quel 1995 ci ha cambiato la vita. Pensi, a marzo era nato il nostro secondogenito, solo pochi mesi dopo quel verdetto impietoso. Fui io ad accorgermi di qualcosa nell’autunno di quell’anno. Sembrava una sciocchezza, mio marito non aveva forza nelle dita della mano destra, un’atrofia tra pollice e indice, pareva nulla di serio. Decisi di andare di persona dai medici. Silvio era un geometra e come tutti i liberi professionisti non aveva molto tempo. Però in ospedale ci dissero di fare ulteriori accertamenti e ai primi del 1996 la diagnosi del prof. Angelini: SLA, fino ad allora quasi sconosciuta. Le dirò che non ci perdemmo d’animo anche se poi ci dissero che a quel punto la malattia era già in fase avanzata e che, senza saperlo, la muscolatura era già inefficiente al cinquanta per cento. Cominciò la nostra battaglia, che sarebbe durata per più di sei anni.

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Paradossalmente all’inizio Silvio stava bene, camminava, correva. Ma aveva sempre quel problema col dito, faceva fatica a scrivere con la mano destra. Poi un progressivo ma inesorabile peggioramento delle condizioni, prima perse l’uso del braccio e della mano, poi cominciarono le difficoltà nell’esprimersi. Non riusciva più a pronunciare lettere come la R. Quindi toccò all’altra mano. Insomma, pian piano le cellule si stavano distruggendo, e la situazione ci fu molto più chiara quando la malattia aggredì la parte respiratoria nell’ultimo anno. Intervenimmo con la ventilazione artificiale non invasiva, Silvio neppure l’accettava. Questa fase durò 6 mesi, poi mio marito morì nel suo letto, stroncato da qualcosa che pareva simile ad un infarto. Era il 19 giugno del 2002, il destino fu beffardo e atroce fino all’ultimo visto che la mattina successiva mia figlia Erika avrebbe dovuto sostenere l’esame di maturità. Nessuno poté spostare la prova e lei andò lo stesso a scuola col dolore nel cuore. Nonostante tutto ce la fece e fu promossa a pieni voti….”.

pap_promozioneNessun sospetto, al massimo qualche dubbio. Ma la voglia di avere spiegazioni, quella sì, la signora Daniela non se l’è fatta mai mancare. Anche se non aveva molti elementi per ipotizzare, ma solo vaghi indizi. ” Il magistrato Guariniello chiese le cartelle cliniche al dottor Angelini: Io stessa fui convocata una settimana dopo la morte di mio marito. Mi chiesero qualcosa sul doping, visto che quell’argomento lo avevo affrontato con Silvio nei lunghi mesi della malattia, ma lui mi rassicurava, diceva che non aveva preso mai nulla. Solo dopo la sua morte un amico mi confidò qualcosa di cui già si parlava in certi ambienti del calcio, anche a Silvio avevano fatto delle flebo, forse in misura eccessiva. Riferii tutto al collaboratore di Guariniello, ma da allora non ho saputo più nulla. Però, ripensandoci, mi tornano in mente altre situazioni. Mio marito mi diceva che usciva dallo spogliatoio sempre accaldato e non riusciva proprio a raffreddarsi. Sudava sempre, pure dopo la doccia, ma non riusciva a capire. Un sintomo del male? Non so, anche perché Silvio non ha avuto una carriera sotto i grandi riflettori. Rimase al Padova fino a 20 anni poi passò all’Abano in serie D, quindi qualche esperienza in Promozione. Smise presto, a 30 anni ma la passione per il calcio rimase. Allenò l’Euganea Teolo e poi i ragazzi del Veggiano. E a 38 anni fondò anche una squadra di calcio a 5 del nostro paese. Però non riesco ancora a collegare la sua morte con l’attività agonistica anche se qualche volta i brutti pensieri mi vengono, ripensando a quelle sudorazioni improvvise. Se solo altri calciatori potessero darci delle conferme, forse tutto sarebbe più facile, ma la maggior parte pensa più a preservare la carriera che a farsi delle domande. Però io continuo ancora a credere nel mondo del calcio, mio figlio ora ha 15 anni e gioca in una squadra. Da parte mia dopo quel che ho sofferto, cerco di aiutare gli altri. Con l’associazione lavoriamo molto, arrivano tanti pazienti e vengono seguiti e visitati nel nostro centro. E se oggi i malati di SLA vivono un po’ di più, magari il merito è anche nostro”.

Al fianco dell’Associazione si è schierato anche un ex calciatore (e amico personale di Bastianello ma soprattutto di Alessandro Del Piero), ovvero Ivone De Franceschi. Non con un pallone tra i piedi, ma con il cuore in mano, per sconfiggere un avversario temibile ed agguerrito come la SLA. L’ex capitano del Padova ha accettato la sfida ed è orgoglioso e fiero di poter essere uno dei testimonial dell’Asla. “Quando mio padre era un dirigente dell’Euganea Teolo, andavo a vedere le partite e lì giocava Silvio Bastianello – racconta il responsabile degli osservatori biancoscudati. – Tramite un’amicizia comune sono stato contattato dalla moglie Daniela ed ho subito aderito al progetto per sensibilizzare l’opinione pubblica e far capire alla gente che cosa significhi essere colpiti da questo morbo, ancora poco conosciuto. Cercherò per quanto possibile di dare il mio piccolo contributo partecipando alle riunioni e mettendo in piedi altre iniziative”. Un male, quello della SLA, che lo stesso De Franceschi ammette di aver conosciuto in maniera più approfondita solo di recente: “Non ne sapevo molto, poi il caso Borgonovo gli ha dato più visibilità. A volte, quando giochi a calcio, ti senti quasi indistruttibile ed immortale, purtroppo però non è così per nessuno. Non credo ci sia una relazione stretta tra calciatori e questa malattia, ma è importante unire le forze per continuare a combatterla”.